Manuale di sopravvivenza per finte alternative insicure, e pure con il WI-FI
- Spazio Eclettico
- 29 lug
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 29 lug
Con Virginia Woolf che fuma una sigaretta sul divano e intanto mi spiega un paio di cose

Ci risiamo.
Hai postato una foto in cui si intravede una tetta, uno strumento musicale, un pennello sporco di pittura, un pensiero esistenziale scritto di getto non controllando la punteggiatura o una citazione colta copiata da qualche intellettuale femminista degli anni Settanta.
Hai messo anche una GIF di un gatto obeso, così, per smorzare.
Ma niente.
Ti arriva lo stesso.
Il commento. Senza volto.
Il grande classico.
“Finta alternativa insicura.” Un must.
Tre parole, zero fantasia. La creatività di un criceto in coma. L'audacia di chi naviga su YouPorn in incognito.
Il genere di insulto che si scrive dopo la terza birra e prima di addormentarsi su un cuscino IKEA, triste e ammaccato, come la vita di chi ha bisogno di giudicare gli altri per sentirsi moralmente superiore.
Ma chi sono i sommelier dell’autenticità?
Sono loro.
Gli esperti dell essere alternativi nel modo giusto. Perché sì, cari lettori, ci sono delle linee guida precise per essere considerati alternativi.
Addirittura, si narra che esista un manuale segreto, nascosto in un locale underground berlinese, contenente tutte le regole precise per essere dei veri alternativi. Ma nessuno lo ha mai trovato.
E se non segui il manuale come se fosse una bibbia... BLASFEMIA.
Sei una posa. Un fake. Una persona alla ricerca spasmodica di attenzione.
I sommelier dei veri alternativi sono quelli che si offendono se usi i social, ma guardano tutte le tue storie.
Quelli che credono che la vera profondità stia nel non dire mai niente. Nel non esporsi. Nel non mostrare.
Quelli che ti giudicano in base a quanta pelle mostri mentre citi Nietzsche (spoiler: sempre troppa per loro).
Insomma, sono i Carabinieri della Coerenza Estetica.
E, soprattutto, li disturbano le donne che fanno cose strane come: vivere, parlare, mostrarsi, contraddirsi, esistere. Donne che si fanno i cazzi loro senza chiedere il permesso a nessuno. E che stanno bene con se stesse anche senza ottenere nessuna conferma.
"Finta": perché non stai lì dove ti avevano incasellato
Sei finta perché ti trucchi, ma poi parli di fragilità, di terapia, di dolore.
Sei finta perché suoni male uno strumento, ma comunque ti esibisci, senza necessariamente ricercare chissà quale virtuosismo.
Sei finta perché piangi il lunedì e ridi il martedì.
Sei finta perché sei viva, e per loro la vita è pericolosa. Per vivere intensamente bisogna perdere un po' il controllo. E loro vivono di controllo, senza perderebbero se stessi.
Questi sono quelli che se esprimi un'emozione, ti chiedono:
"ma non eri quella ironica a cui non fregava niente?"
E se invece scherzi su te stessa, ti dicono:
"ma non eri quella profonda che scrive poesie sulla morte?"
Sì.
Sono tutte e due.
E tanto altro. Ma a quanto pare per alcuni soggetti è un qualcosa di inconcepibile.
"Alternativa": purché non disturbi il layout
Ti vogliono alternativa ma sobria.
Creativa ma sobria.
Coraggiosa ma sobria.
Esattamente come una birra analcolica: esiste, ma non lascia il segno. Carina, funzionale ma insipida.
Se ascolti Britney Spears mentre stiri una maglietta dei Minor Threat ? "Incoerente!"
Se ti piace il rock va bene, ma se balli reggaeton per ridere? “Traditrice.”
Brava che leggi la Woolf, ma se la citi con addosso una maglietta trasparente? “Femminista alla ricerca di attenzione.”
La Woolf si sarebbe divertita un sacco a scandalizzarli tutti.
E avrebbe pure postato le sue foto più disturbanti con caption tipo: “le donne hanno bisogno di una stanza tutta per sé e di una playlist per zittire i coglioni.”
"Insicura": ovvero colpevole di non essere un robot
L’insicurezza è concessa solo se stai zitta.
Appena la dichiari, sei debole. Fragile. Alla ricerca di consensi.
Appena la trasformi in arte, sei strategica.
Appena ci ridi sopra, sei in cerca di attenzione.
Per loro la donna “alternativa” deve essere un personaggio da film francese del ‘73: muta, in bianco e nero, posata, contenuta, dipendente.
Tu, invece, cucini fagioli in lattina mentre ascolti i Wargasm a volume illegale con la vicina al piano di sotto che minaccia di chiamare i carabinieri.
Non sei una musa placida, che annuisce, facilmente impressionabile.
Sei una distorsione che fa rumore.
E a chi ama il controllo, le distorsioni danno fastidio.
Tipo un’interferenza nel cervello.
Tipo un sassolino nella scarpa.
Tipo una ragazza che non sta mai zitta. E che
no, non si stufa di essere se stessa.
Una stanza tutta per sé (e nessuno che bussa ogni 3 secondi)
C’è questo piccolo saggio del 1929. Si intitola Una stanza tutta per sé.
Un testo educato, colto, eppure micidiale.
Virginia Woolf lo ha scritto con una grazia affilata, chirurgica ma in modo talmente semplice da essere a tratti disarmante.
Il concetto è rivoluzionario e ancora tremendamente attuale.
Una donna deve avere denaro e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi.
Ovvero, devi crearti uno spazio per esistere senza che nessuno ti rompa il cazzo. Avere indipendenza economica e, soprattutto, indipendenza emotiva.
La stanza di Virginia
Non stava parlando solo di quattro mura, una scrivania vintage con una macchina da scrivere impolverata e vista su un giardino di ortensie.
Stava parlando di spazio mentale, autonomia economica, silenzio operativo.
Uno spazio dove una donna può pensare ed esprimersi senza che qualcuno le chieda se ha il ciclo.
E cosa succede oggi ogni volta che una donna si crea quella stanza?
Semplice, le arrivano commenti tipo:
“Sei costruita”
“I veri alternativi non usano i social! ”
“Non dovresti esporti così tanto"
“Hai bisogno di attenzione, ammettilo.”
Ma scusa, questa non è una stanza tutta per me?
O devo chiedere il permesso a voi della Santa Inquisizione per abitarla? Ma poi, i cazzi vostri mai ?
Lo spazio mentale, oggi, si conquista a colpi di blocca-utente
Woolf parlava di educazione negata, di reddito negato, di tempo rubato.
Noi oggi parliamo di energie drenate da chat tossiche, notifiche inquietanti, commenti passivo-aggressivi, e quel vago senso di colpa che arriva ogni volta che postiamo una foto in cui siamo troppo vive. O troppo scoperte per occhi bigotti e moralisti.
Perché ogni volta che crei uno spazio, arriva qualcuno a bussare:
“Ehi, ma ti sei montata la testa?”
“Ti mostri un po’ troppo, eh?”
“Ti credevo diversa.”
“Ma non eri quella intellettuale?”
E che due coglioni.
Virginia 2.0: cosa direbbe oggi?
Probabilmente:
Dove sono i miei soldi, il mio tempo e la mia calma per uscire da questo gruppo WhatsApp infernale?
Poi si aprirebbe un profilo tipo @woolfinthedark.
Posterebbe foto sfocate dei suoi quaderni, meme su Shakespeare, storie in cui recita ad alta voce Sylvia Plath e ogni tanto si farebbe vedere mentre piange in un cimitero ascoltando Florence + the Machine.
E ogni volta che qualcuno le scrive:
“Però stai esagerando con l’esposizione.”
Lei risponderebbe con una citazione colta e un dito medio in controluce.
Chiudete pure le vostre biblioteche, se volete; ma non c’è cancello, né serratura, né catenaccio che possiate mettere alla libertà della mia mente.
E se la stanza è anche il corpo?
Virginia parlava anche del corpo, in modo sottile.
Perché il corpo è la prima stanza che abitiamo e che ci viene sottratta.
O etichettata.
O derisa.
Quindi se ti fai una foto con le cosce in vista non stai contraddicendo Virginia Woolf. E spoiler, puoi farlo senza che nessuno venga a sindacare sulla tua libertà di espressione.
Tanto torneranno a bussare
Una stanza tutta per sé, oggi, è ogni spazio che ti prendi senza doverlo spiegare. Un posto unicamente tuo.
Può essere:
un profilo social libero e autentico, dove potersi esprimere senza sentire il dovere di dare spiegazioni.
il proprio corpo rivendicato anche attraverso una foto allo specchio, un tatuaggio, un nuovo taglio di capelli. Non per essere guardata, ma per guardarsi e sentirsi bene.
un momento in cui non rispondi a nessuno per 24 ore (e respiri),
un progetto creativo personale per dare voce a ciò che hai dentro.
Chi ti dice che sei “finta”, che “non sei abbastanza autentica”, che “non sei alternativa nel modo giusto” sta solo grattando alla porta della tua stanza con le unghie dell’insicurezza. E non l'insicurezza quella umana, quella che si nascondeva nelle mani tremanti di Virginia Woolf prima di scrivere su un foglio bianco. Quella marcia, pericolosa, carica odio tipica delle persone irrisolte.
Tu sei lo specchio che riflette qualcosa di loro stessi che li mette profondamente a disagio.
Ignora il rumore.
Virginia lo faceva.
E intanto scriveva. Creava. Esisteva.
Benvenuta nel club delle finte alternative insicure.
Si entra gratis.
Ma si resta solo se non chiedi scusa per esistere.
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